giovedì 18 aprile 2013

Lezione IX


Lezione IX - Pizza ed altro.

Abbiamo detto nel corso dei nostri incontri che caratteristiche, che tipo di accoglienza evocano la pizza: abbiamo parlato di fascia popolare, di prezzi contenuti, di allestimento sobrio. Ma nel dettaglio, cosa offrire al nostro cliente tipo?
Le bevande.
Tradizionalmente nella pizzeria ci aspetta un impianto alla spina, ma negli ultimi anni il quadro si è complicato:
1) per grandi volumi Coca cola predispone impianti miscelatori, in cui le loro bevande vengono preparate al momento. Il vantaggio è la possibilità di fare grandi scorte e un prezzo all'origine molto basso.
2) l'impianto tradizionale alla spina per i medi volumi. Grande praticità, bevande sempre fresche e di buona qualità, ma un impianto complesso e oneroso da gestire, con i fusti.
3) per volumi contenuti e per diversificare val la pena provare gli impianti con fusti a perdere, con il prodotto che rimane buono per un mese.

Uno spillatore, detto anche spina, è un erogatore di birra che si attacca a diverse tipologie di fusto, principalmente: i cask, i fusti ed i Kegs. I cask sono delle botti che non vengono collegate ad una bombola di anidride carbonica, quindi in pratica non vengono serviti a pressione. Li riconoscete perchè hanno la leva lunga oppure sono posti in alto e la birra esce per gravità. Nel fusto normale, di metallo, il volume lasciato libero dalla birra viene riempito a pressione regolabile, quindi permette di servire birre con una carbonazione più alta e (di solito) una temperatura più bassa. I kegs, contenitori molto moderni, sono fatti in PET, però il gas di pressione non entra in contatto con la birra, perché una membrana tiene divisi liquido e gas. La bottiglia invece è un piccolo contenitore, la cui vita avviene in condizioni non del tutto prevedibili. In generale una birra in fusto può garantire un risultato migliore, purché il fusto venga terminato entro 3-4 giorni. Quindi, diffidate dei locali poco frequentati, potrebbero avere un fusto vecchio di 2 settimane!
Esistono numerose aziende che vendono spillatori, anche on line. Il prezzo base è intorno ai 500 euro, cui bisogna aggiungere il costo della bombola di anidride carbonica, la ricarica della stessa, i prodotti per la pulizia e gli accessori, come gli attacchi per i fusti. Se fate un accordo con un fornitore per l'impianto in genere in comodato d'uso, potrete servire solo la sua birra e avere assistenza gratuita illimitata.

Avere un unico fornitore non vi mette alla prova come imprenditori -sono gli altri che scelgono al posto vostro- e vi espone al rischio di essere ingannati: la consuetudine induce ad abbassar la guardia, l'abitudine le aspettative.
A partire dalla fine degli anni '80 in Italia la birra è diventato un fenomeno di massa: chi distribuiva i marchi più popolari ha fatto una montagna di soldi, perchè comunque i ricarichi erano astronomici. Oggi la faccenda è diversa: tutti sanno i prezzi della Corona o della Ceres, da un operatore professionale ci si aspetta qualcosa in più, o in termini di competenza o di complesso dell'offerta, di coreografia.
Quindi pizza e birra sono ancora un abbinamento vincente, purché declinato in maniera moderna.
78 € per 30 litri è il prezzo a cui si può comprare un fusto di Heineken, ovvero circa 2,6 € al litro, 0,86 € per una birra piccola.
Sempre a proposito di costi e di ricavi, qualcuno che sa far molto bene i conti e la multinazionale che fa la Fanta, che secondo un'inchiesta della rivista inglese The Ecologist, ripresa anche dall' Indipendent, paga il succo concentrato di arancia sette centesimi al litro ai contadini calabresi.

Vent'anni fa in pizzeria oltre alla birra ti servivano di default, il Galestro e il Lambrusco.
Il Galestro è stata una brillante invenzione commerciale dei vignaioli del Chianti, che sfruttando il blasone trovarono il modo di mettere in bottiglia e vendere la sovrapproduzione di viti a bacca bianca: allora come oggi la nostra era ed è terra da rossi robusti e strutturati. Era una porcheria ma al popolo stava bene e comunque la cultura del vino non era così diffusa come oggi.
Il Lambrusco era pura imitazione: siccome in Romagna ci servivano questo rosso abboccato e spumeggiante a tutto pasto, sembrava andar bene per un piatto semplice e “giovane” come la pizza.
Oggi noi sappiamo che potremmo offrire ai nostri clienti bianchi giovani e freschi, con le bollicine e no, o dei rosati anche di produzione locale. L'unico vincolo eventualmente, oltre all'approccio informale, il prezzo: oltre i sette / otto € a bottiglia è pura fantasia.

Nella bottega artigianale, quella per intenderci senza somministrazione ( anche se i decreti Bersani consentono quasi tutto anche qui ) la questione bevande, merita un approfondimento: allo stato attuale gli studi di settore non fanno distinzioni tra acquisti di materia prima e di prodotti confezionati destinati alla vendita, per cui occorre molta attenzione per non far lievitare inutilmente i ricavi presunti. Inoltre se si acquista dal fornitore conviene avere grossi volumi, perchè altrimenti i vantaggi della consegna a domicilio rischiano di essere travolti dai prezzi mediamente più alti di quelli della GDO. Ultimamente Coca Cola ha messo su una sua struttura di distribuzione.
Una formula ultimamente di moda è quella dei locali ibridi, tipo pizza e caffè: la legge ve lo consente anche senza bagno per il pubblico, si offre un servizio ampio e di prodotti preparati all'interno della bottega, il percorso inverso dei bar che fanno i primi piatti.

I gelati confezionati sono in genere presenti anche nei punti vendita più piccoli, si ripresenta però il problema delle bevande: sui gelati si guadagna ancor meno e fanno comunque volume, come patatine e snack. O ci si inventa qualcosa o conviene stare alla larga.
Servire il tartufo o il sorbetto al limone, secondo me ha più svantaggi che vantaggi. Livella verso il basso l'offerta ed economicamente non è soddisfacente.


Alcune ricette sfiziose.

Bianca pomodoro zucchina feta
Melanzane basilico grana ( margherita )
Speck peperone scamorza ( m )
Salamino cipolla mais ( m )
Gorgospeck ( m )
Crudo rucola grana ( b )
Salamino brie rucola ( m )
Salsiccia stracchino ( b )

Pancetta cipolla rucola ( m )

giovedì 4 aprile 2013

Lezione VIII – Il laboratorio, i condimenti, la vendita


Alla base della buona pizza, ci sono buone materie prime. La salsa di pomodoro si prepara con anticipo già condita: io prediligo i pelati frullati perché hanno una buona consistenze ed una buona acidità.
La salsa di pomodoro non deve avere troppo corpo, in genere diffido dalle passate: costano meno ma di solito sono dolciastre e si stendono meno bene.
Il pomodoro conserva un segreto per la sua appetibilità: oltre al colore, al sapore dolce-salato, alla sua presenza importante nella nostra tradizione gastronomica, l’altro segreto è la glutammina. Eccita la nostra sensibilità al sapido.
Sulla mozzarella l’industria alimentare mette a disposizione una gamma molto ampia di prodotti. Io preferisco le mozzarelle e i formaggi a pasta filata asciutti, perché più facili da gestire e con un buon gusto.
Sulla pizza si potrebbe mettere anche il prodotto “a bagno” avendo l’accortezza di farlo cuocere meno del resto della pizza, che come è noto cuoce a temperature molto elevate; si rischia di servire una cosa rinsecchita e che non fila più o che non si è amalgamata agli altri ingredienti, per cui quando la si mangia a morsi vien via tutta insieme.
I salumi.
Sui salumi come sulla mozzarella, l’industria della sofisticazione si è sbizzarrita; allo stato attuale gli insaccati sono forse i prodotti sulla cui salubrità ci sono più dubbi:
dubbia la provenienza delle carni,
dubbia la quantità di fosfati e nitrati usata per garantirne la conservazione,
dubbie le liste degli ingredienti,
dubbissimi i prezzi al chilo.
Ciò non toglie che a noi piacciono molto ( e non solo a noi ).
Verdure e funghi.
Anche qui c’è il problema ma per certi versi è più facile la soluzione: il prodotto fresco.
I formaggi.
Praticamente ci si possono metter tutti. Stracchino, scamorza, gorgonzola, fontina, brie, taleggio, grana, sono i più gettonati.
Il pesce.
No.


Presentazione e vendita.
 Alcune premesse.
Uno dei pregi della pizza come prodotto da ristorazione, è che è difficile sbagliarla e dura a lungo. In linea di massima aspiriamo a servire ai clienti un prodotto d’aspetto gradevole, ben cotto ma non bruciacchiato, con il condimento ben distribuito. Non serve essere particolarmente generosi: troppo pomodoro o troppa mozzarella, renderanno più complicata la cottura o la gestione dell’infornata. La pizza è buona com’è, senza strafare.
Una pallina di impasto per una pizza standard ( 33 cm ) non supera i due etti, almeno da noi. Un giorno sarà interessante approfondire come a Napoli la pizza è cibo di strada e deve soddisfare molto costando poco, mentre altrove è cibo più voluttuario o addirittura da ristorante; da noi è relativamente poco tempo che è entrata nelle abitudini e lo ha fatto come prodotto da panetteria da una parte –impasti del pane stesi in teglia conditi grossolanamente- e nella forma sottile che ad Arezzo va per la maggiore. C’è una forma di reticenza cultural-gastronomica ai prodotti elaborati e alle preparazioni macchinose: in fin dei conti le nostre radici rurali non son così lontane.
A partire dalla seconda metà degli anni ’90 anche ad Arezzo si è imposta la tipologia di negozio, bottega artigianale con vendita: questo ha fatto si che le ultime resistenze in termini di abitudini alimentari siano state abbattute e la pizza è entrata di prepotenza nel paniere.
La pizzeria è l’unica tipologia di laboratorio artigianale in cui non è necessaria separazione tra preparazione e vendita, vedremo più avanti come il pericolo rappresentato dalle tosso-infezioni sia modesto; ciò che ci preme sottolineare è come sia parte del senso comune che la preparazione della pizza si vede: non c’è trucco, non c’è inganno.
Bene, mettiamoci in mostra: l’abilità manuale, il garbo e la misura nei gesti, l’energia del fuoco. Tutto a vista, anche il sudore.
E pochi fronzoli. Piatti in ceramica bianchi o scatole in cartone. La pizza è piatto popolare, la ricercatezza è nei modi e nei contenuti, non nella confezione; ma allo stesso tempo non segmentare i target sarebbe da sciocchi.
Noi dobbiamo avere un’idea più precisa possibile del nostro pubblico.
Chi mangia la pizza vuole spender poco, mai e poi mai abbinarci bevande o piatti costosi o presentazioni che non siano focalizzate sulla praticità. La pizza non è un prodotto da assaggio o da degustazione: la ordini come pietanza principale, accanto ci possono stare solo dei trastulli. Primi piatti semplici, crostini, fritti, dolcetti: tutta la gamma dei finger foods, può essere abbinata, la pizza nasce in strada, ripiegata in quattro e mangiata in piedi.

Lezione VII - Pasta brisé, pasta sfoglia e pasta fillo

La pasta brisè o pasta brisée è una delle paste base della cucina classica francese. Ha un gusto neutro, tuttavia è possibile darle un gusto dolce aggiungendo zucchero o darle alcuni aromi specifici, ad esempio aggiungendo cacao amaro. È estremamente friabile ed assume un colore giallo meno intenso della pasta frolla, dal momento che non contiene uova.

Si chiama brisée perché si impasta prima la materia grassa (burro) con la farina nella quantità sufficiente ad ottenere un impasto di pezzettini staccati l'uno dall'altro; poi si aggiunge la quantità di acqua ben fredda (a cucchiaiate, uno alla volta) necessaria per ottenere una pasta omogenea; nella pasta brisè si mette sempre il sale ed è tradizionalmente una pasta per torte salate (la pasta per le torte dolci è sempre stata la pasta frolla, che, in origine, era anch'essa una pasta neutra).

Ingredienti per circa 6 sfoglie da 30cm di diametro:
Burro 250 g Sale 10 g Acqua fredda ( oppure Vino bianco secco )150 ml Farina debole 500 g

Ammorbidire il burro (si può usare il microonde tenendolo per 3 minuti a potenza di 90 W; per un uniforme ammorbidimento conviene capovolgere il panetto dopo 1,5 minuti ).
Aggiungere il pezzo di burro ammorbidito alla farina e provvedere ad una accurata sabbiatura della farina agendo prima con le mani e poi con delle fruste elettriche.Si tenga presente che più fine è la sabbiatura, tanto meglio verrà la pasta brisè. Dopo la sabbiatura aggiungere l'acqua o il vino bianco, ben freddo di frigorifero, in una fossetta al centro della farina e procedere ad un veloce impastamento realizzato in punta di dita per evitare di riscaldare l'impasto e di far formare il glutine.Produrre una pagnotta e mettere in frigo a riposo per un'ora, chiusa.

La Pasta Fillo
La pasta fillo o phyllo, dal greco con il significato di "foglia", è una varietà di pasta sfoglia preparata in sottilissimi fogli separati. La tecnica artigianale è quanto mai coreografica.
Caratterizzata da tempi di cottura ridottissimi, si utilizza in forno o fritta.
100g di farina 0100g di farina Manitoba circa 110g di acqua calda a 50° 30g di olio extravergine di oliva3g di sale maizena per infarinare la spianatoia
Preparazione:versare la farina e il sale nell'impastatrice, versarci sopra l'acqua a poco a poco perché non è detto che vi serva tutta. Dovrete ottenere un composto molto morbido ed elastico. non appena acqua e farina si saranno amalgamati, aggiungete l'olio a filo e aumentate la velocità dell'impastatrice impastando fino ad incordare l'impasto e cioè fino a quando l'imapsto si staccherà dalle pareti e diventerà molto elastico avvolgendosi intorno al gancio.Ungetevi le mani e prelevate l'impasto dall'impastatrice, dopodiché dividetelo in pezzi di circa 60g l'uno, copritelo con la pellicola precedentemente oliata e lasciate riposare per circa 2 ore, dopodichè infarinate abbondantemente
la superficie della spianatoia, appoggiateci una pallina di impasto, infarinatela abbondantemente anche sopra e cominciare a stendere con il mattarello fino ad ottenere una sfoglia sottilissima e trasparente. A questo punto infarinate bene la sfoglia con la maizena, appoggiatela su un foglio di carta forno e copritela bene con la pellicola in modo che non prenda aria. Continuate con gli altri pezzi di impasto e poi sovrapponeteli alla prima sfoglia e coprite nuovamente con la pellicola.

La pasta sfoglia è una preparazione di cucina e di pasticceria a base di farina, acqua e burro.
Di gusto neutro viene usata comunemente per preparazioni salate e dolci.

La preparazione della pasta sfoglia prevede una serie precisa di passaggi, detti giri di pasta o di sfoglia. Si impasta 3/4 della farina con l'acqua per ottenere un panetto elastico e senza grumi, detto "pasta matta" o "pastello". La restante farina si amalgama con il burro o margarina (prendendo il nome di panetto) e lo si fa riposare per 30 minuti in frigorifero. Si prende un matterello e si spiana la pasta matta in una sfoglia di qualche centimetro di altezza. Si prende il panetto e lo si pone in centro alla pasta matta.
Si chiude la pasta matta portando il lembo sinistro sopra il panetto, poi il lembo destro quindi il lato superiore verso il centro poi il lato inferiore. È consigliato capovolgere il tutto. Si procede quindi alla spianatura con il matterello per ottenere una striscia rettangolare che abbia larghezza maggiore rispetto all'altezza. Si ripiega in tre o in quattro (es. 4 pieghe: lato sinistro verso il centro, lato destro verso il centro, i due strati del lato sinistro sopra il lato destro), fatte le pieghe si ruota di 90 gradi in senso antiorario (giro).
Questa operazione viene ripetuta per sei volte: nella pasta sfoglia ordinaria si ritiene sufficiente ripetere l'operazione 3 volte, nella pasta sfoglia classica o fine si arriva ai canonici 6 giri tramandati della ricetta di Carême. Tra un giro e l'altro si ripone il panetto in frigo (30 minuti), per mantenere la preparazione compatta e garantire una buona sfogliatura.





Lezione VI - Il conto economico



Se vogliamo fare gli artigiani dobbiamo molto alla svelta imparare a fare i conti: è una faccenda tutt'altro che banale.
Il mondo è complicato e l'organizzazione dello Stato complessa: ci si aspetta che il bravo artigiano sappia fare molte cose. Noi cercheremo di restare ad un livello elementare, guardando il nostro ombelico di pizzaioli.
Cominciamo dal prodotto. Da qualche parte avete una scheda con su scritto i prezzi al kg degli ingredienti, a questo aggiungiamo l'ammortamento dei macchinari, i costi medi delle utenze/ affitti e la retribuzione che considerate ragionevole, adeguata al vostro impegno. Da qui si parte.
La cosa che salta agli occhi è che nell'alimentare in genere e nella pizzeria in particolare, i ricarichi sono molto soddisfacenti, quindi il nostro margine è piuttosto ampio nell'imparare e implementare buone prassi, legate al minor spreco, l'ottimizzazione dei tempi e il presidio del mercato.
Purtroppo si tratta di un'impressione solo parzialmente vera.
Il mercato è molto esigente, in termini di servizi, collocazione, scelte di marketing: è molto presidiato e lo sarà sempre di più, con operatori molto professionali da una parte e imprenditori disponibili a molti e molti sacrifici, dall'altra.
Lo Stato è molto esigente.
Si aspetta da voi che sappiate pianificare nel lungo periodo, perchè chiede pagamenti numerosi e sfalzati;
si aspetta che siate disponibili alla formazione continua, per la sicurezza degli alimenti e del lavoro;
si aspetta che circa due terzi di quello che guadagnate siate disposti a mollarglielo;
si aspetta che cerchiate di fregarlo.
Il sistema di distribuzione delle merci è molto esigente, raramente vi darà quel che cercate, ad esempio in termini di filiera corta o di tracciabilità dei prodotti, mentre cercherà di rifilarvi qualsiasi cosa al prezzo più alto possibile. Questo almeno fino a quando la crisi non ne provocherà la necessaria modernizzazione.
Quindi: sapere bene quel che si fa e non lasciare niente al caso.
La cosa non è per niente facile per la maggior parte di noi, che magari veniamo da situazioni di disagio o di esclusione sociale ma anche, più semplicemente da situazioni di lavoro subalterno più o meno precario o se volete, da famiglie che con la dimensione dell'intraprendere non si sono misurate o lo hanno fatto in anni di vacche grasse.
La congiuntura che occupiamo noi è pessima, soldi ne girano pochi: questo ci obbliga ad esser molto bravi.
Il mercato della ristorazione è un mercato a cui si affaccia un gran numero di persone: come si diceva i ricarichi sono soddisfacenti e più o meno tutti pensiamo di saper far da mangiare. In quasi tutte le tavolate, tra parenti o tra amici, ci sarà sempre qualcuno che "se volesse" o "se avesse voluto", farebbe o avrebbe fatto fortuna.
Avviare un laboratorio con annessa vendita diretta comporta un investimento che negli anni è diventato accessibile, per una pizzeria parliamo di una cifra attorno ai 60mila euro, ma appunto perchè c'è tanta concorrenza occorre prestare molta attenzione al collocamento, sia in termini di luogo che di prezzo che di offerta.
La pizza è un prodotto popolare pertanto la collocazione deve essere pratica, per chi si muove in auto, con poco tempo o prole al seguito: si può essere difficili da raggiungere solo con una proposta molto particolare, irripetibile altrove.
Abbiamo parlato del fatto che la tipologia “locale per famiglie” è quella che può incontrare successo, sia nella chiave del take away, sia nel “servito”: la pizza in genere in famiglia piace a tutti, ma non sono molti i locali con un’ offerta rivolta specificatamente, anche se tutti sappiamo che sono i figli a condizionare nel bene e nel male molte scelte d’acquisto.
La pizza è un prodotto popolare, quindi anche il prezzo, l’allestimento del locale, le suppellettili, il packaging devono rispecchiare questa impostazione. In pizzeria il pasto è economico e ci aspetta solo cortesia e rapidità, quindi occorre sfrondare il più possibile il cerimoniale della ristorazione tradizionale: è vero che noi aretini siamo sempre un po’ in ritardo, ma se osserviamo i locali di successo e guardiamo alle nostre case, ai nuovi modi di consumare il cibo, agli stili di vita contemporanei, abbiamo a disposizione alcune regolette generali.
1)      Si fa caso a salubrità e tenore calorico del cibo
2)      Apparecchiatura ( del tavolo ) e confezionamento sono cose distinte: alla prima si è disposti a fare molte concessioni, nei confronti della seconda ci sono molte aspettative
3)      Faccio caso alla singola voce di prezzo, ma sono molto disponibile nei confronti della spesa massima ( se non ne percepisco la composizione )
4)      La liturgia del pasto primo-secondo-contorno appartiene al passato
5)      Mi interessa la tracciabilità dei prodotti
6)      I locali hanno un tempo di vita piuttosto breve: nascita, crescita, maturità, decadenza, morte. Dopo due anni ci avrete guadagnato, dopo il terzo cominciate a rimetterci. Conviene non affezionarsi troppo alle proprie iniziative imprenditoriali.

giovedì 21 marzo 2013

Lezione V - Il pane toscano, la panina


Un volume d'acqua per due di farina. Nel mio caso:
1l d'acqua
2 kg di farina
una bustina di lievito di birra secco ( 25 gr di quello fresco )
Ho mescolato acqua e farina in parti uguali ed aggiunto il lievito, volendo sfruttare il fenomeno dell'autolisi per ottenere un impasto migliore, poi ho lasciato riposare per una mezz'ora, in una ciotola aperta a temperatura ambiente.
Ho aggiunto il resto della farina e prodotto due grosse palle di impasto che ho fatto lievitare ancora per un'ora e mezza a temperatura ambiente, coperte poi in frigorifero per 24 ore.

Per fare il pane si prosegue così:
Ho formato un filone e ho fatto lievitare a temperatura ambiente per 2 ore, poi ho infornato in forno già caldo a 200° (avevo posto una leccarda piena di acqua sul fondo del forno 15 minuti prima di infornare), ho abbassato subito a 175°, ho fatto cuocere 20 minuti con vapore, poi ho tolto la leccarda e ho continuato la cottura per altri 30 minuti.

La panina dolce
g. 500 pasta da pane
g. 100 uvette ammollate in acqua calda
una bustina di zafferano
g. 50 strutto (oppure 4 cucchiai di olio)
g. 50 zucchero
pepe

Lavorate bene la pasta di pane con lo strutto (oppure l'olio), lo zucchero, lo zafferano ed il pepe (un pizzichino).
Aggiungete le uvette e formate due pagnotte. Lasciatele lievitare per un'oretta su una teglia da forno coperta di carta forno.
Cuocete in forno a 200°C per una mezz'oretta.
La pagnotta deve risultare marroncina all'esterno e cotta all'interno

La panina coi ciccioli
500 g. pasta da pane
un pezzo di pancetta fresca piuttosto grassa (un etto circa)
sale
pepe

Tagliate la pancetta a pezzotti medio-piccoli.
Mettetela in un tegame e ponetelo su fuoco basso. Lasciate sciogliere il grasso. Mettete tutto il contenuto del tegame in una ciotola con la pasta di pane, il sale e il pepe.
Mescolate bene fino a quando la pasta avrà ben assorbito il grasso.

Forgiate una pagnotta (oppure nella versione modernizzata una schiacciata) e mettetela a lievitare per un'oretta.
Ponete poi la pagnotta o la schiacciata in forno a 200°C e cuocete per 40 minuti la pagnotta, per 20 la schiacciata

Lezione IV - Altri prodotti da forno. Gli impasti indiretti


Diverse tradizioni gastronomiche, ma anche diverse circostanze storiche, hanno aguzzato l'ingegno degli artigiani. Da frumenti meno pregiati è nata ad esempio la piadina. 
Ingredienti:
 ½ l di latte tiepido 75 gr di lievito 
½ bicchiere di olio ( nella ricetta originale 75 gr di strutto ) 
1kg di farina 
6gr di sale 
Impastare gli ingredienti fino ad ottenere una massa liscia e omogenea, che risulterà morbida e molto unta al tatto. Formare delle palline da 100 gr, stenderle e coprirle. Quando sono lievitate, cuocerle su di una padella antiaderente preriscaldata a fuoco medio, pochi secondi per lato, schiacciando le bolle. 
  Accanto alla piadina, semplice e popolare, proviamo un impasto molto semplice ma scenografico, di sicura riuscita: i panini al latte. 
Ingredienti:
700gr di farina di buona qualità 
400ml di latte 180gr burro 
 2 cucchiai di zucchero 
50gr di lievito
 Con questa quantità si ottengono 40 panini circa da 30 gr, che dopo aver formato la pallina si dispongono in una teglia ricoperta con carta da forno, si spennellano con il latte e si fanno lievitare. Prima di infornare a 220 ° si spennella di nuovo. Cuocere fino a ottenere una crosta marroncino-arancione.

mercoledì 20 marzo 2013

Lezione III I prodotti del forno


Lezione III
La pizza e gli altri prodotti da forno

Andando in giro per l'Italia si scopre che i forni nel corso dei secoli, partendo da circostanze e prodotti diversi, hanno proposto ai clienti tanti cibi gustosi.
Oggi abbiamo rifatto l'impasto morbido, che fa riferimento alla tradizione genovese, con la patata lessa nell'impasto. Rispetto al primo esperimento abbiamo raddoppiato la quantità di pasta, anche perchè avevamo in animo di farcire la nostra focaccia, con un altro celebre cibo da strada: la cecina.

Impasto per una teglia di circa 60 x 40, a cottura ultimata alta quasi 3 cm:
½ litro di acqua
1 e ½ kg di farina
1 bicchiere di olio di semi
100 gr di lievito di birra
280 gr di patate ( tutte quelle portate da casa, direi che è venuto bene
35 gr sale
Abbiamo impastato gli ingredienti fino ad ottenere una pagnotta morbida e non appiccicosa. Sentivamo sotto i polpastrelli la patata non completamente amalgamata -forse avremmo potuto schiacciarla prima di mescolarla al resto-, ma il risultato finale non ne ha risentito.
Dopo il riposo, abbiamo steso l'impasto nella teglia badando che fosse ben tirato sugli angoli e poi l'abbiamo bucato con l'apposito utensile. Spennellatura d'olio e ulteriore riposo.
Il forno regolato a 220°, 40% il cielo 80% la pietra, ci ha dato un risultato migliore dell'altra volta ma non ancora pienamente soddisfacente. I prodotti in teglia devono prendere più calore da sotto per raggiungere una coloritura e una consistenza giusta.

La cecina è venuta meno bene, troppo salata e un po' fragile, ci siamo ripromessi di aumentare di un terzo la farina ( ma probabilmente andrebbero aumentati i tempi di riposo ) e dimezzare il sale, a parità del resto.

Stemperare una parte di farina di ceci per tre parti d'acqua e un terzo di parte di olio extra vergine, ( es. 200 gr farina + 600 ml di acqua + 70 gr olio ) mescolare energicamente per sciogliere i grumi e aggiungere il sale ( 15 gr per questa quantità ). Lasciare riposare da 2 a 4 ore ( almeno! ).
Ungere la teglia con un velo d'olio, porla in forno per qualche minuto per facilitare il successivo distacco e versare il composto. Re-infornare e cuocere finché non comincia a colorare ( giallo scuro con macchie arancio/ marrone ). La cecina l'abbiamo cotta alla stessa temperatura della focaccia, ma probabilmente reggerebbe anche calore più forte.

Contemporaneamente abbiamo preparato un impasto per la pizza a piatto, seguendo la prima ricetta imparata e ragionando nel frattempo di come gli impasti più o meno indiretti, consentono maggiore flessibilità al lavoro dell' artigiano e il nobilitare materie prime meno pregiate. Pre-impasti come Biga e Poolish, rendono più stabili i legami proteici responsabili della tenuta della lievitazione: sono un po' più difficili, richiedono un minimo di esperienza, ma garantiscono prodotti migliori. Diciamo che la sapienza dell'artigiano, si misura lì.
Noi che dobbiamo imparare e prender confidenza con la materia, ritorniamo a:
1 parte di acqua per il doppio in farina, nel nostro caso 1l d'acqua per 2 kg di farina, ½ bicchiere d'olio, 25 gr di lievito di birra, 35 gr di sale.
Ottenuto il nostro impasto e fatto riposare una decina di minuti, l'abbiamo porzionato in palline da 200 gr circa e fatto lievitare per un paio d'ore.
Nostro obbiettivo era fare delle basi precotte, da riutilizzare l'indomani: talvolta sono gli stessi clienti a chiedercele, per preparare a casa la pizza, ma anche l'artigiano può trovarsi nella condizione di usarle ( come riserva o per servire tavolate molto numerose ).
Abbiamo usato la spianatrice a rulli per allargare la base, poi rifinita a mano fino alla dimensione desiderata ( da 27 a 33 cm, a seconda delle abitudini e dello stile del locale ); dopodiché abbiamo infornato a 330° per pochi secondi ( 5/ 10 massimo ).
La base deve essere tondeggiante e uniforme. L'impasto diretto, anche con farine non fortissime, risulta elastico ma estensibile.